I muretti a secco, tipici dei Paesi del Mediterrano, sono stati inseriti nella lista dei Patrimoni culturali immateriali dell’umanità dall’Unesco. Otto i Paesi europei che hanno presentato la candidatura: Italia, Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. L’Unesco ha riconosciuto l’importanza dei muri a secco ma soprattutto l’arte con cui sono costruiti: pietre impilate una sull’altra senza utilizzare altro materiale se non terra asciutta.
Il comitato, che ha vagliato la proposta ha dichiarato che la candidatura è conforme ai criteri di patrimonio culturale intangibile e tra questi criteri c’è il fatto che la tecnica è “vivente”, cioè, è ancora di uso comune. L’Unesco è rimasta particolarmente impressionata dalla cooperazione internazionale nello scambio delle migliori pratiche per il mantenimento in vita della tecnica.
Il muretto a secco è stato il primo esempio di manufatto umano e, in realtà, è presente in tutte le culture del pianeta. Rappresenta il primo tentativo di modificare l’ambiente per ricavarne un qualsiasi uso, sia per costruire un riparo sia per delimitare un luogo. I muretti a secco rappresentano “una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura”, ed è una tecnica che risale a tempi preistorici.
“La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l’applicazione pratica adattata alle particolari condizioni di ogni luogo in cui viene utilizzata – spiega ancora l’Unesco – I muri a secco svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”.
Gli antichi Greci e Romani costruivano muri a secco sia perché erano più economici sia perché più facili da costruire. Ad oggi si possono trovare in molti luoghi di campagna. Nelle zone costiere e nelle isole italiane i muri a secco sono così comuni che spesso si dimentica la loro importanza storica e sociale, ma con questo riconoscimento viene dato il giusto valore a questa tradizione.
Martina Dell’Osbel