Storia della vite e del vino friulano a PordenoneLegge

Enos Costantini, agronomo friulano, è il curatore del volume Storia della vite e del vino in Friuli e a Trieste (Forum editrice) e con grande maestria oratoria ha raccontato in occasione di PordenoneLegge com’è nato questo libro, manuale necessario per chi vuole approfondire il tema della cultura del vino in Friuli Venezia Giulia. Il tomo (702 pagine) è stato redatto a più mani sotto la supervisione del prof. Costantini.

DosMo Magazine: Come è nata l’esigenza di una storia della vite in Friuli Venezia Giulia?

Enos Costantini: In realtà ero stufo di sentire corbellerie sul vino nella nostra regione. Mi sono chiesto: ci saranno dei testi che abbiano autorevolezza in merito e che non finiscano col parlare del vino pucino (vino che viene identificato in queste terre in antichità). Visto che non ce n’erano, l’ho curato io. La cosa importante da sottolineare è che diversamente da Paesi come Cile, California, Australia, il Friuli Venezia Giulia può vantare una storia millenaria della vite e del vino. Senza contare la zona di Trieste, al mondo letterario completamente sconosciuta, e che ho potuto approfondire grazie alla scoperta di moltissimo materiale inedito conservato da uno storico triestino.

DM: Quali le novità di questo libro?

EC: Innanzitutto alcuni indagini su luoghi del Friuli che finora nessuno aveva mai affrontato e che hanno portato temi collaterali a quello del vino ma assolutamente utili a tracciarne la storia. A Maniago (PN), chiamata la città dei coltelli, c’è una lunga tradizione di produzione di coltelli da innesto, forbici da potatura e cavatappi, con l’arte che si affianca al design. Fagagna (UD) è una delle località più conosciute per la storia delle etichette del vino. Infine, la Carnia che da sempre risulta essere la zona più nota per le distillerie.

DM: Che differenza c’è fra la viticultura di una volta e quella attuale?

EC: Un abisso. Teniamo conto che fino a 60 anni fa la viticoltura era promiscua: le viti crescevano accanto ad altri tipi di alberi, tra i cereali e gli animali e si definivano “maritate”, dato che si appoggiavano alle piante. Solo alla fine dell’800 la vite diviene “accompagnata” per esempio al gelso.

DM: E il vino come si distingue quello odierno da quello antico?

EC: Il vino di oggi non è come quello di 50 anni fa e per quanto riguarda quello di 100 anni fa… l’incognita è ancora più grande, visto che non ci sono persone viventi a testimoniarlo. C’è una cosa da sottolineare: il vino in antichità, diversamente da oggi, era considerato un vero e proprio alimento che dava energia, una bevanda igienica a differenza dell’acqua del pozzo che poteva essere contaminata da batteri. Aveva quindi una funzione diversa. In più, era fonte di reddito per i ricchi possidenti che lo smerciavano non solo in regione, anche all’estero. Ci sono infatti testimonianze di vino filtrato dolce friulano (ribolla) che nel 1300 arrivava fino a Klagenfurt.

All’interno del libro tante le curiosità: la storia del Tocai e del motivo della scelta di questo nome; quella del Prosecco che arriva da Prosecco (TS) e che oggi insieme alla Pinot Grigio rappresenta il 50% della produzione vinicola friulana; l’importanza delle barbatelle di Rauscedo (PN), conosciute ed esportate in tutto il mondo; l’utilizzo di studi genetici sulle coltivazioni di viti, non in funzione di un miglioramento genetico delle piante, ma per scoprire la storia genetica dei vari vitigni e tracciare le vie del cammino che alcuni di questi hanno fatto nei tempi. Ad esempio, è stato documentato che il refosco ha affinità con il marzemino e questo con teroldego.

EC: Il futuro della viticultura in Friuli al momento è in buone mani, quelle della ricerca della qualità, della tipicità e dell’eccellenza. Poi si fa anche il Prosecco e speriamo che non sia solo una bolla…

 

Francesca Casali

 

 

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