Nell’articolo “Viaggiare è un’arte”: Terzani raccontato da Àlen Loreti abbiamo scoperto il senso del viaggio per Tiziano Terzani, concentrato nella figura del pellegrino, e il suo amore per la Cina. In questa seconda parte dell’intervista al suo curatore, Àlen Loreti ci parla dell’eredità, morale e materiale, dall’attività giornalistica al Fondo Terzani, di un uomo che ha saputo vivere a pieno la propria esistenza.
Dosmo Magazine: Leggendo un articolo scritto da John F. Burns, giornalista britannico del New York Times e vincitore di due Premi Pulitzer, emerge chiaramente la denuncia nei confronti delle ideologie, definite come “il flagello del XX secolo”. Come Terzani, Burns ha svolto la sua professione nei luoghi più inospitali della terra, segnati dalla guerra e dall’instabilità politica. Pensa che anche la visione del mondo del giornalista fiorentino sia diventata altrettanto disillusa nei confronti dell’umanità e del progresso?

Àlen Loreti: Come tutte le persone dotate di buon senso Terzani era profondamente turbato dall’escalation della violenza, non solo in termini militari, ma nella quotidianità, nelle parole che usiamo, nelle scelte egoistiche che compiamo. Ha sempre pensato che il giornalismo fosse un modo per portare un miglioramento nella società. Anche qui c’era una spinta ideale, la stessa per intenderci di Pulitzer quando diceva che il giornalismo serve “per conseguire il fine ultimo, il bene pubblico.” La depressione, che lo tormentò per lunghi anni, era un riflesso di questa mancata speranza. Nel 1996 quando lasciò il giornalismo lo fece per stanchezza, perché non voleva più ripetersi. Per lui il giornalismo non era un mestiere ma un modo di vivere. Il mondo stava cambiando e anche lui scelse di cambiare. La scoperta del cancro rimescolò le priorità, ma in un certo senso emulò il famoso Victor Zorza che, presa la pensione, si ritirò in un remoto villaggio dell’Uttarakhand: prediligere la solitudine non significa essere soli o isolati dal mondo.

DM: Secondo lei come mai, dopo 13 anni dalla scomparsa, i suoi libri riscuotono ancora un grande interesse?
ÀL: Terzani è stato uno dei testimoni più autorevoli dei mutamenti geopolitici del secondo Novecento. In particolare di quella parte del pianeta che oggi – come nel lontano passato – guardiamo con timore e grande curiosità, cioè l’Asia. È ancora molto amato perché ha reso comprensibili questi cambiamenti, li ha descritti con vivacità e competenza. È stato capace di smontare l’esotismo mostrando il valore delle tradizioni culturali. Parlerei di un vero inno alla diversità, al rispetto delle differenze. Inoltre è stato un uomo di grande integrità con una fortissima, e per questo scomoda, autonomia intellettuale. Nella pietra funebre che lo ricorda è incisa un sola parola, “viaggiatore”, e di questi tempi – anche per chi è giovane – scoprire il mondo avendo come bussola un libro di Terzani penso sia formidabile.
DM: Qual è la più grande eredità lasciata da Terzani?

ÀL: Diciamo subito che c’è un’eredità fisica accessibile a tutti. Mi riferisco al Fondo Terzani custodito a Venezia dalla Fondazione Cini. Nel 2012 la moglie Angela e i figli hanno esaudito una delle volontà testamentarie più delicate cioè il salvataggio della biblioteca privata. Terzani desiderava che i suoi libri fossero salvati e non finissero dispersi. I libri sono sempre stati il trampolino ideale per viaggi e scoperte, li ha collezionati sapientemente nell’arco di una vita. Diceva che “senza i libri molti viaggi non mi sarebbero nemmeno venuti in mente.” Perciò consegnare questi 6000 volumi al pubblico significa proseguire un’ideale staffetta. È la collezione di un poliglotta, ricchissima, e abbraccia tutto l’Oriente: penso sia un bel regalo, i viaggiatori del futuro potranno formarsi sui testi appartenuti a Tiziano. Qui si innesta anche la sua eredità morale che trascende le opere pubblicate in vita. Terzani sapeva bene che il mondo non si cambia con le opinioni, ma con l’esempio che portiamo ogni giorno. Fu capace di inventarsi una vita straordinaria, piena, intensa, affrontando i fallimenti e godendo dei successi. “È fattibile, fattibile per tutti. Fare una vita, una vita. Una vera vita, una vita in cui sei tu. Una vita in cui ti riconosci”, disse al figlio poco prima di morire. È un invito ad essere coraggiosi, a non abbandonare i propri sogni, a non sprecare le proprie energie e la propria intelligenza.
Sara Forniz