Guendalina Sartori: passione, sogno, realtà

Il mondo dello sport è così vasto che spesso, si tende a dare spazio alle solite discipline sportive, quelle più popolari, quelle più note, quelle che fanno più audience. Oggi, vogliamo dare spazio ad uno sport che solo negli ultimi anni è diventato più “famoso” e che rientra, purtroppo, nella categoria degli sport minori: il Tiro con l’Arco. A parlarci di questa disciplina sportiva e della sua storia sarà Guendalina Sartori, atleta della Nazionale di Tiro con l’Arco, classe 1988 e originaria di Monselice.

DosMo Magazine: Guendalina, a che età ti sei avvicinata al mondo del tiro con l’arco?

Guendalina: Mi sono avvicinata al tiro con l’arco 17 anni fa, avevo quasi 11 anni. Sono cresciuta a Monselice, un paese della bassa padovana dove ogni anno, a settembre, si disputa il Palio in stile medievale, una sorta di torneo tra contrade del paese. Tra le varie gara che si disputano, una di queste, è una gara a suon di archi e frecce. Archi e frecce molto diversi da quelli che si vedono alle olimpiadi, ma tutto ha avuto inizio da lì.

DM: Che emozione hai provato alla tua prima gara?

Guendalina: Appena ho sentito la domanda, ho subito pensato: “E adesso? Chi se lo ricorda?”. Invece, aspettando un attimo, mi sono apparsi nella mente alcuni flash di quella gara. Tiravo da pochi mesi, avevo passato un bel po’ di tempo negli allenamenti durante l’estate, non mi pesava, anzi mi piaceva e mi divertivo tantissimo. Quella gara penso di poterla considerare come la peggior gara di sempre a livello di emozioni: mai provate tante emozioni negative nello stesso momento. Ero a diretto contatto con le avversarie, loro avevano un arco bello e colorato, io un arco in legno che mi piaceva tantissimo a tal punto da pensare che avesse una marcia in più. Ho passato gran parte della gara a pensare alla sconfitta, non volevo assolutamente perdere, sapevo di poter far meglio rispetto a quello che stavo facendo. Poi qualcosa è scattato dentro di me e ho distolto l’attenzione dalle altre per portarla su di me e da lì la rimonta. Quindi, dopo la grande paura per la performance negativa, arriva la gioia di una performance positiva, positiva per modo di dire, a livello di punteggio non era poi molto soddisfacente. Quello che a quell’età si cerca non è altro che la medaglia, come è giusto che sia.

DM: Nel 2009 entri a far parte della Nazionale senior, cos’hai provato a confrontarti in competizioni internazionali?

Guendalina: Anche qui emozioni contrastanti. Le prime gare non sono andate bene, per molto tempo ho pensato di lasciare la nazionale e dedicarmi al tiro con l’arco solo come hobby, ma ricordo che qualcuno mi ha detto che “tentar non nuoce”, cosi ho provato un altro anno, che probabilmente è stato quello giusto. Pensa che 10 giorni prima del Mondiale di Torino 2011 ero a Padova per dei colloqui di lavoro: eh si, avevo bisogno di un lavoro.

DM: A luglio 2011, a Torino, arriva il titolo mondiale a squadre con Natalia Valeeva e Jessica Tomasi. Quante emozioni hai provato?

Guendalina: Quell’anno, non so ancora come, ho iniziato a macinare punti e ho iniziato a passare le selezioni, gara dopo gara miglioravo, senza un evidente cambiamento o maggiore impegno. Quando è stato fatto il mio nome nella convocazione non volevo crederci, ma non sentivo nessun peso addosso. Tutti i componenti dello staff sono stati bravi a non farmi sentire tensioni e mi hanno coccolata sempre, fino all’ultima freccia della finale. Chi lo avrebbe mai detto che dopo tante delusioni arriva una vittoria così bella come quella di un mondiale?

DM: Ultima esperienza il quarto posto alle Olimpiadi di Rio del 2016 insieme a Lucilla Boari e Claudia Mandia. Cosa ti sei portata a casa da quest’esperienza?

Guendalina: Ho portato a casa molte delusioni ma anche tantissime gioie. Delusione si perché avremmo potuto fare una gara strabiliante invece ci siamo dovute fermare ai piedi del podio. Gioie? Beh, abbiamo comunque fatto quello che mai l’Italia del tiro con l’arco al femminile era mai riuscita a fare. Abbiamo preso la mira giusta, la prossima volta sappiamo come comportarci. Con me sono tornate nuove amicizie e altre che si sono consolidate. Il giorno prima di partire per tornare a casa, finita la nostra esperienza olimpica, mi trovavo nel giardino della nostra palazzina quando mi sento chiamare, mi giro e proprio davanti a me vedo Marta Pagnini, capitana della squadra di ginnastica ritmica. C’eravamo scambiate tantissimi messaggi in quei giorni. Un abbraccio fraterno carico di emozioni quello che ci siamo scambiate, un abbraccio che nonostante la delusione ti fa tornare il sorriso. Purtroppo anche la loro gara è stata marchiata dal quarto posto, io ero a casa e seguivo le loro esibizioni con le lacrime agli occhi.

DM: Qual è il segreto, per un’atleta del tuo livello, per non perdere mai la determinazione e la motivazione?

Guendalina: A questa domanda non so risponderti. È impossibile dire che la determinazione e la motivazione siano sempre presenti e smaglianti nella vita di un atleta. Ci sono momenti che anche determinazione e motivazione hanno bisogno di una tiratina a lucido, ma bisogna saperlo fare o farlo fare a chi di mestiere, no? Sto passando un momento difficile della mia carriera dove queste due componenti sono un pelino opache, è normale passare un periodo sottotono dopo l’anno olimpico, un anno che mi ha regalato dei colpi di scena veramente incredibili ai quali non ero abituata. Comunque sia, la vita continua e cercherò di ricomporre i cocci guardando avanti fiduciosa che la luce in fondo al tunnel sta per arrivare e quando arriverà, sarà una gioia immensa e me la godrò a fondo.

 

Martina Dell’Osbel

 

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