Ho incontrato Vittorino Andreoli, conosciuto psichiatra e scrittore, a Roveredo in Piano (PN), durante un evento di presentazione del libro “La gioia di vivere” promosso da PordenoneLegge. Mi ha raccontato di come la gioia va cercata, scelta, fatta.
DosMo Magazine: Come si arriva alla gioia di vivere?
Vittorino Andreoli: Bisogna innanzitutto parlare della fatica di vivere. Oggi mi accorgo che i sintomi delle malattie di cui mi occupo (i miei matti, come mi piace chiamarli) sono minori, meno intensi rispetto al passato, ma diffusissimi. C’è un endemia di paura e questo comportamento dipende da tre fattori: dalla biologia, cioè da come siamo fatti geneticamente e biologicamente, dall’esperienza, tutto ciò che succede e condiziona un individuo nella sua crescita fino a diventare adulto, e dall’ambiente in cui si vive, quello geografico e relazionale. La mancanza di fiducia negli altri pone una persona ad avere sempre paura e a considerare ogni incontro come qualcosa di pericoloso, qualcosa da temere. Gli altri sono nemici.
Il modo giusto per cambiare questo approccio alla realtà è quello di cambiare “occhiali”. È il nostro modo di guardare che ci porta a percepire solo tragedie, escludendo dallo sguardo le cose più semplici e i cosiddetti “nessuno”, ovvero le persone che ci sono ma non vengono considerate. Questo succede anche in famiglia con gli anziani o i bambini che non vengono presi in considerazione perchè si tende a guardare soltanto gli interessi definiti prioritari: lavoro, benessere, soldi.
DM: quindi cambiando prospettiva ci si può accorgere di ciò che potrebbe dare più valore alla vita?
VA: La paura sensibilizza. È un meccanismo di difesa che può diventare fobia e immobilizzare. Penso che sia necessario un cambio di visione delle cose per superare questa fase. Karl Jaspers nel suo libro “La psicologia delle visioni del mondo” spiega come ognuno ha la sua visione. Per esempio: la realtà delle cose è diversa fra quella percepita da un adolescente e quella percepita dalla madre. In particolare il concetto di tempo. Il ragazzo vive il momento, ciò che gli accade ora. La madre è preoccupata di ciò che potrà accadere in futuro, della conseguenza delle cose. Se il ragazzo esce con gli amici di certo non sta a pensare all’ora di rientro Questo si esplica anche attraverso il linguaggio con frasi come: “Esco, ciao!”, “Sono al bar con amici”, “Non so che ora è”; la madre invece: “A che ora torni?”, “Dove sarà andato?”, “Domani sarà stanco”.
È qui che si comprende la visione del mondo divisa fra la gioia di vivere e la fatica di vivere. Cambia la nostra percezione del mondo in base ai vissuti, per cui per qualcuno un evento è nulla, per altri fonte di angoscia.
DM: Chi prova gioia è anche felice?
VA: Gioia e felicità sono due concetti completamente diversi. La felicità è una reazione positiva di fronte a uno stimolo (ad esempio una bella notizia). Finito lo stimolo, finisce anche la felicità. È transitoria e riguarda l’IO, quindi è individuale e porta al delirio dell’IO-MIO. La gioia invece è una condizione più stabile, è un continuum e riguarda NOI. Dipende da come sta il partner, dall’atmosfera che c’è in casa, dall’atteggiamento positivo delle persone attorno a noi. La gioia fa sorridere e proprio il sorriso è l’espressione per eccellenza della gioia. Io mi ritengo un infelice-gioioso.
DM: Altro argomento che tratta nel suo libro è la fragilità.
VA: La fragilità è una condizione umana che non deve essere vista in accezione negativa. Non è un sintomo o una malattia, ma una caratteristica dell’uomo legata al limite. Non si può parlare di fragilità in opposizione al concetto di potenza: chi è potente domina, non ha dubbi. La fragilità è l’antitesi del potere perchè non vuole supremazia sull’altro ma ne ha bisogno. Due innamorati si attaccano l’uno all’altro e cambiano la vita di ciascuno. Accade tra partner, tra madre e figlio, tra padre e figlio, tra fratelli, amici. Ciascuno ha bisogno dell’altro. La gioia di vivere si regge sulla fragilità, la fatica di vivere sul potere. Due fragilità fanno forza. L’amore cos’è se non una grande alleanza di due fragilità.
DM: il sottotitolo le libro è “A piccoli passi verso la saggezza“.
VA: È quello l’obiettivo, la saggezza. Non se ne parla quasi più. È saggio chi guarda il presente senza nostalgia per il passato e illusioni per il futuro. Raggiungere la saggezza è ciò che vorrei fare io, il mio è un percorso disperato perchè oggi tutti noi stiamo perdendo persino la speranza. Non vorrei essere definito un intellettuale, bensì un saggio.
Francesca Casali
Foto: Mauro di Pasquale