Lionello Cera, proprietario e chef del ristorante “Antica Osteria Cera” a Lughetto di Campagna Lupia (VE), due stelle Michelin, profonda e ineguagliabile maestria nell’arte culinaria del pesce. Assieme ai suoi fratelli Lorena e Daniele gestisce la cucina, mentre a sovrintendere sala e cantina ci pensa la moglie Simonetta.
DosMo Magazine: Qual è la parola d’ordine nella sua cucina?
Lionello Cera: Direi semplicità. È un punto di partenza per i miei piatti e quando penso alla combinazione che vorrei, la immagino principalmente nella sua semplicità. Parto da una materia prima fondamentale come un grande pesce, una grande verdura e cerco di mantenerne le caratteristiche il più possibile. Ecco perché la semplicità diventa anche l’obiettivo e il punto d’arrivo.
DM: Cosa intende per “grande” pesce e “grande” verdura?
LC: La grandezza sta nella genuinità e nella freschezza degli ingredienti. La mia famiglia è sempre vissuta a stretto contatto con il mare, mio padre e mio nonno, prima di lui, erano pescatori e mi hanno insegnato a riconoscere i sapori del mare nei pesci appena pescati, pesci tipici della nostra laguna. Le verdure che utilizziamo vengono dal nostro orto.
DM: I prodotti che sceglie quindi hanno la semplicità scritta nel DNA.
LC: Esatto. L’essenzialità delle cose è un elemento che mi ha sempre accompagnato. Ammetto però che non sempre è un concetto facile da interpretare in un menu e spesso trasferirlo in un piatto non è così difficile come farlo cogliere all’ospite. Ho riscontrato che c’è molta carenza di cultura alimentare e mi è capitato di incontrare persone che non sanno apprezzare questo approccio culinario, semplicemente perché manca in loro la consapevolezza di ciò che hanno nel piatto, della storia degli ingredienti che sono stati scelti, della passione e del lavoro di chi ha assemblato il tutto. Recentemente ho lavorato per alcuni giorni al Forte Village in Sardegna, dove la clientela è soprattutto internazionale (soprattutto dell’Est Europa) e ho notato che un alto benessere economico non è sufficiente a coprire le lacune di una cultura del cibo che ormai ritengo necessaria. Solo con degli americani ho visto dell’interesse. Ma c’è ancora molto da lavorare.
DM: A breve sarà ospite di Paolo Marchi a Milano in Identità Expo, l’evento organizzato da Identità Golose che vuole i più grandi chef italiani e internazionali per il temporary restaurant di Expo. Proprio sul sito di Identità Golose si parla di lei come del “…migliore cuoco di mare in Italia“.
LC: Parto lunedì prossimo. Cucinerò da mercoledì 12 a domenica 16 agosto per il pubblico dell’Expo. Abbiamo creato un menu in linea con la nostra identità. Sposando gli ingredienti tipici del nostro territorio, abbiamo deciso di mettere in primo piano i prodotti della laguna, ad esempio uno spaghetto freddo al sugo di seppia e una polenta realizzata con la nostra farina. Hanno preventivato una grande affluenza di visitatori e saranno giorni impegnativi ma belli. Con Paolo Marchi e lo staff di Identità Golose ho un bellissimo rapporto e già in passato sono intervenuto in alcune loro iniziative come relatore per parlare del pesce a 360°, della sua natura e delle attuali difficoltà pervenute dall’allevamento intensivo anche in mare.
DM: Come si svolge la sua giornata tipo?
LC: Se devo identificare una giornata tipo penso al martedì che per me è il primo giorno della settimana lavorativa. Mi alzo presto e con il mio entourage organizzo il lavoro del ristorante. Pio mi dedico alla creatività, mi concentro su nuove soluzioni di menu, immagino nuovi piatti e sperimento rivisitazioni di un piatto già proposto con l’utilizzo di una diversa tecnica di preparazione.
DM: Cosa pensa dei giovani aspiranti chef?
LC: Apprezzo moltissimo la passione per la cucina nei giovani ma non ammetto la presunzione di chi pensa di realizzare piatti senza la giusta competenza. Io so cosa sono capace di fare e lo realizzo al meglio, se non sono portato o non conosco a fondo una particolare tecnica, lascio stare. A volte invece vedo che giovani inesperti si cimentano magari con Ferran Adrià, Blumenthal o la cooking art e fanno miscugli dimenticando di soffermarsi primariamente sulla loro identità: lo si capisce dal piatto. A loro consiglio di coltivare la propria cucina, la propria identità senza copiare ma facendosi ispirare dalle proprie esperienze di vita, da un viaggio, da un profumo e ovviamente anche dal lavoro degli altri.
Francesca Casali